Generazione Z, i giovani dicono addio ai social
Li hanno chiamati “gli sdraiati”, abituati a stare ore e ore sul divano a fare nulla. Li hanno chiamati anche “zoomers”, per sottolineare come la loro vita sia rigorosamente incollata agli smartphone. Si sbagliavano, anzi ci sbagliavamo tutti. Sì, perché la Generazione Z, ovvero quella dei giovanissimi nati tra il 2010 e il 1995, ha tutt’altre abitudini e tutt’altre passioni.
Lo ha reso noto un recente sondaggio che porta la firma di Piper Sandler, banca di investimento, all’interno del quale si legge come solo il 22% degli intervistati di età tra i 7 e i 22 anni abbia indicato Instagram come propria app preferita. Un dato che è in calo di 10 punti percentuali se si pensa al 31% della primavera 2020, quella dell’esplosione del Covid 19 e del lockdown. A gettare una luce sulle abitudini dei nostri ragazzi è stato poi il New York Post, che ha intervistato i diretti interessati. Come Gabriella Steinerman, 20 anni, che ha parlato di Instagram come un app che “quando la elimini ti rendi conto che non ne hai bisogno”. Così ha maturato la scelta di abbandonare, nel 2019, anche TikTok. Stesso parere di Pat Hamrick, 22 anni, studente della Penn State, che racconta in questi termini la sua decisione di aver abbondonato Facebook e Instagram: “Mi ha fatto sentire meglio nella vita di tutti i giorni, ora faccio le mie cose a modo mio”.
Eppure nel mondo dei social, ultimamente, si stava registrando un trend diverso, di crescita, relativo soprattutto al mondo del gioco e del gambling. Sono nati e proliferati infatti gruppi, pagine e forum di discussione sull’azzardo, sui videogame e sulle slot machine online, tanto da arrivare, come riporta il sito specializzato Giochidislots, a 230 milioni di persone tra gli utenti attivi mensilmente in oltre 630 mila gruppi di gaming su Facebook.
Un trend che evidentemente non riguarda i nostri under30, che, stando anche a quanto riporta il Wall Street Journal, ha scoperto come Facebook e Instagram sia dannoso per aggravare i problemi riguardanti la percezione del proprio corpo, la propria immagine, l’ansia e la depressione. E questa volta non lo dicono i report o le indagine. Lo dicono i nostri ragazzi, i nostri giovani. Una categoria da sempre tacciata e accusata di immobilismo, di cattive abitudini. E invece ne sanno molto più di altri. Soprattutto se si parla di tecnologia, consapevolezza di sé e futuro.