Campi e il valore della fragilità: “Riparare” come atto di resistenza e cura
Con il nuovo singolo “Riparare”, Campi firma un brano intenso e profondo, capace di intrecciare delicatezza e forza in un crescendo emozionale che diventa metafora della nostra epoca. In un mondo in cui tutto si consuma e si sostituisce in fretta, la canzone invita a fermarsi, a custodire e a ricucire ciò che si è incrinato — siano essi rapporti, oggetti o parti di sé. “Riparare” è una riflessione poetica sulla fragilità dei legami e sulla forza silenziosa della cura, un inno a chi sceglie di non arrendersi di fronte al logorio del tempo e delle relazioni.
Attraverso una scrittura intima e una costruzione sonora che cresce in intensità, Campi accompagna l’ascoltatore in un viaggio emotivo che parte dall’interiorità per aprirsi a uno sguardo collettivo. Con la collaborazione di Pietro Posani, Pietro Celona ed Enrico Dolcetto, il brano trova la sua dimensione più autentica: quella di un equilibrio fragile ma potente tra vulnerabilità e resistenza.
In occasione dell’uscita del singolo, Campi si racconta in questa intervista per Europa nel Mondo, condividendo riflessioni, ispirazioni e la ricerca di senso dietro uno dei suoi brani più intensi.
C’è stato un momento preciso o un’emozione forte che ha fatto nascere questo singolo?
Questo singolo nasce dal mio sentire in generale. In questo periodo di grande incertezza mi sono chiesto cosa valga davvero la pena salvaguardare e in che modo. In “Riparare” ho pensato soprattutto alle mie relazioni personali, ma anche a uno sguardo più ampio sul mondo che ci circonda, dove tutto sembra sostituibile e l’importanza delle relazioni viene spesso valutata in base alla loro utilità. Per me prendersi cura di qualcuno o di qualcosa, dedicare tempo ed energia per mantenere vivi i legami, è un gesto semplice ma rivoluzionario. È un atto di resistenza, che mostra quanto ci importi davvero di ciò che amiamo e non vogliamo perdere.
Se dovessi descrivere questa canzone con tre parole, quali sceglieresti e perché?
Fragilità, cura, resistenza. Fragilità perché racconta ciò che è delicato ma prezioso, cura perché parla dell’attenzione che mettiamo nei legami e di ciò che nel mondo amiamo, e resistenza perché scegliere di riparare e non buttare via è un piccolo atto di forza e perseveranza.
Durante la lavorazione di questa canzone, hai incontrato sfide particolari? Come le hai affrontate?
Sì, la sfida principale è stata trovare la giusta dinamica musicale per raccontare un viaggio emotivo così delicato. Volevo che la musica seguisse l’intimità dei dettagli, i borghi, i ricordi, le piccole magie quotidiane, e che allo stesso tempo crescesse con forza nei momenti di esplosione emotiva. Ho avuto la fortuna di lavorare con musicisti e produttori straordinari: Pietro Posani, Pietro Celona ed Enrico Dolcetto. Con loro abbiamo costruito ogni passaggio con attenzione, pazienza e ascolto reciproco cercando di far emergere ogni sfumatura emotiva.
C’è una frase del brano a cui sei particolarmente affezionato? Cosa significa per te?
La frase a cui sono più legato è la citazione alla poesia di Montale, “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale”. Credo che sintetizzi molto bene il tema della canzone: la dedizione, la perseveranza e la cura necessarie per mantenere vivi i legami e le cose preziose nella vita.
Come vivi il momento della pubblicazione di una tua canzone? È più emozionante, stressante o un mix di entrambe le cose?
È sempre un mix di emozione e tensione. Da una parte c’è la gioia di condividere qualcosa di personale e sentito, dall’altra c’è quella piccola ansia: “Come arriverà agli altri?”. Ma alla fine, sapere che la canzone può raggiungere qualcuno e farlo sentire un po’ meno solo rende tutto il percorso bellissimo.
