Barcellona tra radici e futuro: le tradizioni nella vita quotidiana dei catalani
Nel cuore pulsante della Catalogna, Barcellona si muove in equilibrio tra storia e innovazione, tra la forza delle sue tradizioni e le spinte moderne di una città europea. Ma quanto sono ancora vive queste tradizioni nella società contemporanea? E che rapporto hanno, soprattutto i più giovani, con un patrimonio culturale che affonda le radici in secoli di identità catalane?
La città non rinuncia alle sue feste storiche. La Mercè, patrona della città, viene celebrata a settembre con una partecipazione trasversale: concerti, fuochi d’artificio, spettacoli di danza e il celebre spettacolo dei castellers — le torri umane che simboleggiano la forza collettiva della comunità. In quei giorni, la frase “Fer pinya”, che in catalano significa “fare gruppo”, prende vita in senso letterale: è l’invito a unirsi, a sostenersi, a far parte di una struttura umana che si regge solo sull’aiuto reciproco.
Molti adulti vedono in queste ricorrenze un legame inscindibile con il passato, un “cordó umbilical” (cordone ombelicale) con la memoria collettiva. Per loro, rispettare le tradizioni è anche un atto politico: in una regione in cui il senso di appartenenza catalano è ancora molto marcato, partecipare a una festa o usare un proverbio antico è anche riaffermare la propria identità.
Ma cosa ne pensano i giovani?
Qui il quadro è più sfumato. Se da un lato i ragazzi barcellonesi crescono sentendo racconti di nonni e genitori sulle feste del quartiere, sull’importanza del folklore e sulle storie medievali dietro le processioni religiose o civili, dall’altro si trovano immersi in un contesto globalizzato. Vivono tra TikTok e Instagram, parlano spagnolo, catalano e inglese, e la loro quotidianità è fatta di contaminazioni. Molti si avvicinano alle tradizioni con curiosità, ma anche con una certa distanza emotiva. Partecipano alle feste, sì, ma spesso come spettatori più che come attori protagonisti. Alcuni dicono “Això és cosa de vells” (questa è roba da vecchi), mentre altri, soprattutto negli ambienti scolastici e universitari, riscoprono le radici in chiave contemporanea, attraverso laboratori teatrali, musica urbana che fonde ritmi catalani e beat elettronici, o iniziative di quartiere che rimettono al centro la storia popolare.
Le istituzioni stanno cercando di colmare il divario generazionale promuovendo iniziative educative e culturali. Festival come il “Tradicionàrius” e attività nelle scuole elementari mirano proprio a trasmettere il senso delle tradizioni in forme accessibili. Non è raro sentire un giovane dire “A poc a poc i bona lletra” (piano piano e con buona scrittura), un modo di dire che incarna la filosofia del fare bene le cose con calma — un’eredità linguistica che sopravvive anche nei meme digitali.
Barcellona, in fondo, è una città che non dimentica. Cambia, si trasforma, ma lo fa con uno sguardo attento al passato. Il rischio dell’omologazione culturale esiste, ma la resistenza della tradizione è forte, anche quando si veste di nuove forme. La memoria, qui, non è un peso, ma una risorsa. E se è vero che le tradizioni non sono mai immobili, è altrettanto vero che “Qui perd els orígens, perd identitat” — chi perde le origini, perde l’identità.