A Francesco, il Papa degli ultimi!
Nel grembo della sera il silenzio si posa,
come un mantello d’ulivo sull’anima inquieta.
È caduto un pastore tra i fiori del tempo,
non con clamore, ma con voce segreta,
quella che consola gli umili e li chiama
per nome, come il vento fa con l’erba.
Portava croci leggere con mani di pane,
e nelle sue rughe cantava il Vangelo.
Non parlava di troni, ma di terra e fame,
di sudari cuciti nell’ombra del cielo,
di madri perdute nei naufragi del mondo,
di bimbi che dormono senza sogni profondi.
Nel suo sguardo ardeva il fuoco di Cristo,
non quello dei dogmi, ma dell’abbraccio.
Ha camminato scalzo tra le spine del grano,
senza scettro, senza spada, senza minaccia.
Solo con il cuore trafitto e aperto
come un tempio che accoglie il diverso.
La sua parola era acqua che scava la pietra,
era carezza data al volto del nemico.
Nel buio che il potere spesso governa,
ha acceso la lanterna dell’amico
dei poveri, dei migranti, dei dimenticati,
cucendo pace con fili di silenzio e coraggio.
Ora dorme tra le stelle che ha invocato,
con la veste intrisa di terra e misericordia.
Non un santo d’altare, ma di strada,
con la polvere addosso e l’anima sorda
al canto delle sirene del potere:
un uomo che parlava con voce di luce.
Il suo verbo è rimasto tra le spine del mondo,
come una rosa piantata tra rovine e guerre.
Sfidò il mercato col Vangelo in mano,
alzando il calice vuoto dei diseredati,
e in quel vuoto, noi vedemmo Dio
senza orpelli, nudo e umano come noi.
Chi l’ha ascoltato porta ora una torcia
nel cuore: fiamma quieta ma viva.
E mentre il mondo già cambia volto,
la sua eredità si fa seme e deriva,
un vangelo scritto in gesti e carezze,
una croce non di legno ma di presenza.
Riposa, Francesco, sulle spalle del cielo,
tra le braccia del Cristo che hai servito.
La tua voce resta tra i venti del tempo,
nei sogni di chi non ha mai tradito
l’idea che il mondo, pur franto,
possa ancora profumare di giustizia.