Corrado Alvaro: la parola come resistenza
Oggi ricorre il 130° anniversario della nascita di Corrado Alvaro, scrittore, giornalista e intellettuale che ha saputo coniugare l’urgenza del racconto sociale con la profondità della riflessione esistenziale. La sua opera rappresenta un punto nodale della letteratura italiana del Novecento, non solo per la qualità stilistica e per la capacità di descrivere il dramma dell’uomo moderno, ma anche per l’impegno civile e morale che ha contraddistinto la sua intera produzione. In lui si fondono la testimonianza e la memoria, la denuncia e la nostalgia, la rabbia e la speranza: elementi che rendono la sua scrittura viva, complessa e profondamente radicata nella terra d’origine, la Calabria, che non è mai semplice scenario, ma vero e proprio protagonista del suo mondo narrativo.La Calabria come patria dell’anima – Corrado Alvaro nasce a San Luca, nel cuore dell’Aspromonte, nel 1895. La Calabria, con le sue asprezze, i suoi silenzi e le sue ferite, è molto più di una cornice geografica: è l’origine del dolore, ma anche della dignità, della sopportazione e dell’ostinata speranza. Nei suoi scritti, questa regione si fa specchio dell’Italia meridionale più marginalizzata, ma anche simbolo universale di un’umanità resistente, che si confronta con la miseria, l’abbandono e l’emigrazione.
Ne Gente in Aspromonte (1930), forse la sua opera più emblematica, Alvaro mette in scena una Calabria contadina, segnata da ingiustizie antiche e da un sistema feudale ancora dominante. Ma il suo non è mai un naturalismo passivo o pietistico: il suo sguardo è partecipe e morale, volto a ridare voce e dignità a chi non l’ha mai avuta. La sua Calabria è tragica e poetica insieme: un luogo di radici profonde, dove la fatica della sopravvivenza non cancella la tensione verso una giustizia possibile.
La nostalgia come forza costruttiva – La nostalgia, in Alvaro, non è regressiva, non è rifugio in un passato idealizzato. È piuttosto una forza che genera senso, un ponte tra ciò che è stato e ciò che potrebbe essere. La memoria dell’infanzia, il ricordo dei luoghi perduti, la lingua dei padri: tutto questo si trasforma in tensione narrativa, in un continuo interrogarsi sull’identità e sul destino individuale e collettivo.
In L’uomo è forte (1938), scritto dopo un viaggio in Unione Sovietica, Alvaro descrive con lucidità il terrore del totalitarismo. Anche qui la nostalgia per un mondo in cui l’uomo conservava la propria libertà interiore si trasforma in critica feroce alla spersonalizzazione ideologica. È come se la memoria della Calabria, con la sua umanità concreta e tangibile, diventasse un argine contro l’astrattezza dei dogmi politici.
Scrivere per resistere – Alvaro ha vissuto la prima metà del Novecento attraversando i due conflitti mondiali, l’avvento del fascismo e le grandi trasformazioni sociali del dopoguerra. La sua scrittura è sempre stata un atto di resistenza contro ogni forma di oppressione: contro il latifondo e lo sfruttamento, contro la violenza del potere, contro l’omologazione culturale. In questo senso, il suo mestiere di scrittore si intreccia strettamente con quello di intellettuale e giornalista. Collaboratore di testate come Il Mondo, Il Popolo di Roma, Il Corriere della Sera, ha saputo essere osservatore attento e coscienza critica del suo tempo.
Ma la sua è una resistenza senza odio, nutrita da un profondo umanesimo. Alvaro crede nel riscatto possibile, nella dignità delle piccole cose, nella forza della cultura come strumento di emancipazione. Anche quando descrive il dolore, non cade mai nel cinismo né nel compiacimento tragico. La sua parola resta sempre un atto di fiducia nell’uomo.
La speranza come eredità – Nel centotrentesimo anno dalla nascita, la lezione di Corrado Alvaro si rivela più attuale che mai. In un mondo che tende a dimenticare le periferie geografiche e umane, la sua scrittura ci richiama al valore della memoria e alla responsabilità dello sguardo. Il suo è un pensiero che non si accontenta della denuncia, ma cerca sempre una via d’uscita, una breccia, un futuro possibile. Anche nei momenti più cupi, la sua prosa resta luminosa: non nel senso dell’ottimismo retorico, ma nella tenacia con cui sa riconoscere, nel cuore stesso del dolore, la possibilità di un riscatto.
Corrado Alvaro ha scritto per dar voce a chi non l’aveva, per ricordarci che ogni destino, anche il più umile, ha una dignità che merita ascolto. La sua Calabria è ancora oggi un luogo da cui ripartire, non solo per comprendere il Sud, ma per interrogare l’intero Paese su ciò che ha dimenticato. E se la nostalgia è il sentimento che più lo attraversa, essa non è mai sterile rimpianto, ma memoria viva, che alimenta la speranza.
Nel suo nome, oggi, possiamo riscoprire la scrittura come atto civile, come gesto d’amore verso l’uomo e la terra, come forma di resistenza contro l’oblio. Perché, come ci ha insegnato Alvaro, “la disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile”.
A Corrado Alvaro dedichiamo questa nostra poesia, nel giorno della sua nascita di 130 anni fa:
NELLA TERRA DOVE IL TEMPO HA VOCE
Nel silenzio d’argilla che il Sud custodisce,
dove i fichi d’India sanguinano luce
e le madri parlano con gli occhi ai morti,
cammina ancora Corrado,
ombra salmastra tra i sassi del ricordo.
Le sue mani odorano di carta antica,
e scrivono con inchiostro di crepuscoli
su pergamene di vento e spine,
mentre il sole si sbriciola
sulle tegole delle case spoglie
come pane duro, diviso tra i poveri.
Nostalgia è un pozzo senza fondo
in cui scendono le voci dei padri,
le loro storie infilzate sui rami secchi
di un albero che non fiorisce più
ma custodisce la fame e il canto.
La memoria ha il volto di una donna velata
che fila il tempo con dita di rughe,
ogni nodo è una casa abbandonata,
una lettera mai spedita,
una preghiera incisa nel fango.
Ma nella sera che sa di rosmarino e pianto,
la speranza brilla, tremula,
come una lucciola che resiste alla pioggia.
È negli occhi dei bambini che salgono
le scale rotte del paese
portando un libro,
una parola che non conosce paura.
Corrado ascolta e scrive ancora.
Scrive con la voce del vento calabrese,
che soffia tra le rovine
non per distruggere,
ma per ricordare che ogni rovina
è seme di rinascita,
che anche la pietra, se amata,
può fiorire.