28 dicembre 1908
28 dicembre 1908 (di Paolo Fedele)

Una data incisa a fuoco nella memoria di Messina.
In pochi, interminabili minuti, la terra trema, si apre, distrugge. La città viene cancellata. Case ridotte in polvere, grida sotto le macerie, migliaia di vite spezzate. Un’alba di morte e silenzio.
Messina è sola. O almeno così sembra.
Poi, dal mare, arriva la speranza.
I primi stranieri a rispondere al grido di aiuto furono loro: i marinai russi. La flotta imperiale, ancorata ad Augusta e comandata dall’ammiraglio Livitnov, non esitò un istante. Appena la notizia del disastro giunse alle loro orecchie, salparono. Senza ordini da attendere, senza calcoli politici. Solo umanità.
Sbarcarono tra le rovine portando cibo, medicinali, braccia forti e cuori coraggiosi. Scavarono a mani nude tra le macerie, giorno e notte, ignorando la stanchezza, il dolore, il pericolo. Tirarono fuori vivi da un inferno che sembrava non lasciare scampo. Salvarono migliaia di persone.
Pensarlo oggi commuove ancora di più: nel 1908, senza telefoni, senza internet, senza notizie istantanee, la solidarietà attraversò il mare più veloce di qualsiasi tecnologia. Uomini venuti da lontano lasciarono tutto per aiutare una città che non avevano mai visto, persone che non conoscevano.
È una lezione che attraversa il tempo.
Quando la tragedia colpisce, non esistono confini, bandiere o lingue. Esistono solo esseri umani che tendono la mano ad altri esseri umani.
Per questo Messina non ha mai dimenticato.
La gratitudine verso quei marinai russi è sopravvissuta alle generazioni, come un debito d’onore inciso nella storia.
Perché certi gesti non appartengono solo al passato.
Appartengono alla coscienza dell’umanità.
