Milano riapre le ombre dell’assedio di Sarajevo: l’Europa scopre i “cecchini del weekend”
Sarajevo, 1992. Nel cuore dell’Europa che si preparava al Trattato di Maastricht, una capitale già simbolo del multiculturalismo veniva stretta in un assedio destinato a durare quasi quattro anni. Sulle colline, i cecchini serbo-bosniaci trasformavano ogni attraversamento di strada in una roulette russa. Migliaia di civili percorrevano “Sniper Alley” correndo tra i palazzi diroccati, mentre colpi di mortaio e fucilate scandivano la vita quotidiana.
Oggi, più di tre decenni dopo, l’Europa scopre un’ombra ancora più cupa: secondo una denuncia depositata alla Procura di Milano, durante l’assedio sarebbe esistito un vero e proprio turismo di guerra, con occidentali – imprenditori, professionisti, appassionati d’armi – disposti a pagare per sparare sui civili. I cosiddetti “cecchini del weekend”.
Un’accusa che scuote non solo l’Italia, ma l’intero continente, e che obbliga l’Europa a interrogarsi sulla propria memoria, sul proprio ruolo e sulle zone d’ombra della guerra nei Balcani.
Dalla cronaca dimenticata all’inchiesta giudiziaria
A portare la vicenda all’attenzione della magistratura italiana è lo scrittore Ezio Gavazzeni, che dopo anni di ricerche ha consegnato un dossier alla Procura di Milano. Tutto era cominciato da articoli degli anni ’90, pubblicati da grandi quotidiani italiani, poi spariti dal dibattito pubblico.
Il caso è riemerso quando, nel 2022, il regista sloveno Miran Zupanič ha presentato Sarajevo Safari, film che documenta un presunto circuito europeo di “clienti” portati sulle postazioni dei miliziani serbo-bosniaci per “provare l’esperienza” di un conflitto vero.
“Non era un’operazione militare – afferma Gavazzeni – era una caccia all’uomo. Non per odio, ma per sensazione di onnipotenza. Guardavano nel mirino come fosse un videogioco”.
Lo scrittore ha raccolto testimonianze, ha collaborato con la criminologa Martina Radice, ha incrociato fonti, incluso un ex agente dei servizi segreti bosniaci. Il materiale, ritenuto meritevole di approfondimento, è ora all’esame del pubblico ministero Alessandro Gobbis, che ha affidato le indagini ai Ros dei Carabinieri.
Un fenomeno europeo: “Non solo italiani, non solo pochi”
Gavazzeni parla di almeno cinque italiani, ma sostiene che il fenomeno fosse molto più vasto.
“Non parliamo di un gruppetto marginale. Parliamo di molti, molti di più. E non solo italiani. Era un turismo di guerra europeo”.
Gli uomini sarebbero stati facoltosi professionisti appassionati di armi, pronti a pagare cifre ingenti – “quanto un trilocale in una zona media di Milano” – per una trasferta di due o tre giorni nel cuore dell’assedio.
Le partenze, per gli italiani, sarebbero avvenute soprattutto dal Nord, spesso passando per Trieste. Ma le reti di contatto, spiegano le fonti del dossier, coinvolgevano più Paesi europei, con un tacito assenso delle milizie serbo-bosniache che controllavano le alture.
È uno scenario che, se confermato, obbligherebbe l’Europa a rivedere la narrazione consolidata del conflitto bosniaco: non più solo una guerra interna ai Balcani, ma un terreno di attrazione per cittadini benestanti dell’Occidente.
Sarajevo e l’Europa: una memoria interrotta
Tra il 1992 e il 1996, Sarajevo visse 1425 giorni di assedio. Più di 11mila civili morirono, tra cui 1500 bambini. L’Europa osservava, divisa e impotente, mentre i massacri si moltiplicavano fino alla tragedia di Srebrenica del 1995, riconosciuta come genocidio dal Tribunale dell’Aia.
Per questo la notizia dei “cecchini del weekend” risuona con particolare forza fuori dai confini italiani. In Spagna, in Francia, in Germania, il caso è già rimbalzato sui media, alimentando domande inquietanti:
chi erano questi uomini? Chi li accompagnava? Chi sapeva e tacque?
A Sarajevo, spiega Gavazzeni, la voce circolava da trent’anni. “Lì non è mai stata una leggenda metropolitana. Ma in Europa nessuno voleva ascoltare”.
Reazioni politiche: Roma si muove, Bruxelles osserva
In Italia, la deputata Stefana Ascari (M5S) ha presentato un’interrogazione parlamentare chiedendo al governo di chiarire se cittadini italiani fossero coinvolti.
Ma la vicenda, per la sua natura transnazionale, potrebbe presto approdare anche nelle sedi europee. Una parte del dossier riguarda infatti cittadini di altri Paesi membri, e il fenomeno tocca temi sensibili come la responsabilità internazionale e la tutela delle vittime civili nelle guerre interne al continente.
Per ora, tuttavia, l’inchiesta è solo alle fasi preliminari. Non ci sono indagati pubblici, né nomi, né imminenti imputazioni. I Ros dovranno verificare la credibilità delle testimonianze e valutare se sia ancora possibile risalire ai responsabili, oggi ultrasessantenni o oltre.
Un’Europa davanti allo specchio
Le colline da cui i cecchini controllavano Sarajevo oggi sono percorsi panoramici per escursionisti. Ma la città non ha dimenticato. E il fascicolo aperto a Milano riapre una ferita non solo bosniaca, ma europea.
Perché se confermato, il fenomeno dei “cecchini del weekend” costringerebbe l’Europa ad ammettere che, mentre a Bruxelles si costruiva l’Unione, in Bosnia c’era chi trasformava la guerra in passatempo, chi pagava per uccidere, chi approfittava dell’impunità.
“È un tema che riguarda tutti noi”, conclude Gavazzeni. “La guerra non è mai lontana. E la rimozione non può durare per sempre”.
Un’inchiesta che nasce in Italia, ma che parla all’intera Europa: del suo passato recente, dei suoi silenzi e del dovere – ancora irrisolto – di fare piena luce sulla tragedia dei Balcani.
