17 Settembre 2025
Culture

Il dialetto calabrese: un tesoro linguistico-antropologico svelato

Lettura linguistico-antropologica attraverso il libro di Mario Emilio Griffo Canti e proverbi Calabresi – Maierato e dintorni

Analisi linguistica antropologica di Pino Cinquegrana

Nei tempi mitologici furono poeti popolari: il dio Pane, Anfione, Lino e Orfeo.
(E. Rubbieri, 1877:3)

A voi fieri Calabresi che accoglieste ospitali me straniero nelle ricerche e indagini infaticabilmente cooperando alla raccolta di questi materiali, dedico questo libro che chiude nelle pagine il tesoro di vita del vostro nobile linguaggio.
Gerhard Rohlfs

La Calabria ha una ricca tradizione orale fatta di canti popolari, proverbi, detti, indovinelli, formule magiche, cunti e filastrocche, tramandati di generazione in generazione. Questi esprimono la saggezza contadina, il legame con la terra, la religiosità, l’amore, il dolore e la resilienza di un popolo forte.

Un mosaico linguistico estremamente variegato, frutto di secoli di influenze storiche (greche, latine, arabe, normanne, ebraiche, spagnole, occitaniche francesi) e della geografia dei luoghi che rende alcune parlate enclave linguistico-culturale.

Pertanto, parlare del dialetto calabrese richiede la giusta identificazione dell’area geografica di riferimento:

  • Settentrionale (provincia di Cosenza – soprattutto nord, parte di Catanzaro, con influenza linguistica napoletana)

  • Calabrese centrale (area centrale di Catanzaro, Vibo Valentia, influenza tra napoletano e siciliano)

  • Calabrese meridionale (zone di Reggio Calabria, Locride, parte di Vibo, con forte influenza siciliana)

Fatta questa breve premessa, si può sottolineare che l’opera Canti e Proverbi Calabresi – Maierato e dintorni di Mario Griffo completa e risponde alle esigenze paremiologiche e paremiografiche di Maierato, che ha visto autori diversi impegnati su questo interesse comunicativo-relazionale:

Dal Generale Domenico Reale al Direttore Didattico Domenico Burello, dal professore Joseph Vittorio Greco al Professore Giuseppe Greco, da Giuseppe (Pino Cinquegrana) a Domenico (Mimmo) Rizzo.

Autori che rispondono attraverso i propri studi allo studio di Ermolao Rubieri, scrittore e poeta del XIX secolo, il quale sottolinea che il verso dialettale va letto secondo tre indicazioni:

  1. Scritti non dal popolo ma per il popolo

  2. Scritti dal popolo per il popolo

  3. Scritti non dal popolo ma adottati dal popolo

Giuseppe Pitré, Raffaele Lombardi Satriani, Giuseppe Chiapparo e altri hanno individuato nella parlata popolare l’anima e lo spirito di ogni segmento della vita contadina: dal corteggiamento alla festa religiosa, dal lavoro al cibo, dalla magia alla tradizione giuridico-popolare. Questo secondo il pensiero del sociologo, antropologo e filosofo Albert Camus.

Marco Tullio Cicerone scriveva:

“L’humanitas si forma accogliendo l’eredità di sapienza tramandataci dagli antichi… è cultura anche la tradizione, il proverbio, il canto popolare così ricco di sentimenti e di valori… patrimonio che arricchisce la nostra humanitas.”

E Niccolò Tommaseo aggiunge:

“Se tutti i proverbi di ogni popolo si potessero raccogliere e ordinare… con le varianti di voci, d’immagini, di concetti, questo dopo la Bibbia sarebbe il libro più gravido di pensieri.”

Strambotti, serenate e mattinate diventano scelte linguistiche che il cantore rende nei versi, nel bene e nel male, per la propria donna.

Esempio di canto popolare:
Affaccia bella mia pemmu ti viju (pag. 7)

Analisi del contenuto:

  1. Tema centrale: amore struggente e attesa; il poeta si rivolge alla donna amata, desiderando vederla almeno affacciarsi.

  2. Tono e stile: appassionato, diretto, quasi disperato; il dialetto trasmette emozioni profonde e autentiche.

  3. Struttura e metrica: quattro versi senza rima obbligata, ritmo naturale tipico dei canti popolari del Sud. L’enjambement accentua la continuità del pensiero e l’urgenza emotiva.

Analisi linguistica e retorica:

  • Affaccia bella mia: apostrofe amorosa, richiesta diretta, supplica

  • P’emu ti viju: desiderio immediato di vedere la persona amata

  • Eu pe l’amuri toi cc’avanzi staju: il poeta è fermo davanti alla casa dell’amata, spinto dall’amore

  • Si staju n’atra ura e no ti viju / rimingu pe lu mundu mi ndi vaju: dolore e sconfitta, amore non ricambiato, fuga volontaria simile a figura del viandante

Proverbio: Cu a luna i Jennaru nterra vidi o toi dinaru (pag. 69)

  • Interpretazione simbolica:

    • Luna di gennaio: freddo, riflessione, riposo dei campi, previsione agricola

    • Vedi il tuo denaro per terra: spreco, perdita, cattiva sorte

  • Significato complessivo: chi agisce azzardando a gennaio rischia di perdere i propri soldi.

  • Contesto culturale e agricolo: gennaio è mese di attesa; il proverbio invita alla prudenza, non fidarsi delle apparenze, evitare decisioni affrettate.

Conclusione:
Il proverbio calabrese Cu a luna i Jennaru nterra vidi o toi dinaru è un monito tradizionale che ricorda la saggezza contadina: la luna, bella ma ingannevole, non deve guidare le azioni concrete; altrimenti si rischia di “vedere il proprio denaro a terra”, ossia di perderlo.