“Nel cuore della notte verso Bonserrata: il cammino di fede che unisce generazioni”
Eccoli! Puntuali a mezzanotte e pronti a compiere il cammino di fede verso Vallelonga, “‘a Bonserrata”, come viene chiamato il piccolo ridente paesino, nell’entroterra delle Serre vibonesi, che custodisce da secoli la venerabile statua della Madonna che si richiama a quella di Montserrat vicino Barcellona. Un bel gruppo di giovani e meno giovani che da anni, ormai, rinnovano quella devozione di fede e spiritualità sulle orme degli antichi padri. Conoscono la fatica del percorso e i disagi che via via dovranno affrontare. Eppure nei loro sguardi c’è tanta serenità e la sicurezza di voler portare a termine un voto, una promessa fatta: raccogliere il testimone di fede sull’esempio delle loro madri e nonne che non mancavano mai di vivere l’esperienza del cammino in onore della Madonna di Bonserrata e continuare quella tradizione che è significativa di un rapporto, direi familiare ed affettivo, che si instaurava con Santi e Madonne. Li guardo con simpatia ed ammirazione e non rimango indifferente alle sensazioni che si percepiscono ed ai sentimenti che manifestano attraverso parole e gesti. In loro c’è l’orgoglio di rappresentare una comunità che nel venerdì della seconda domenica di luglio si portava, nel cuore della notte, convintamente, impavidi nel passare la fiumara e luoghi scoscesi ed impenetrabili boschi, a rendere omaggio alla Madonna. Totò non manca mai. Viene da Modena per l’occasione e, come la madre Teresa che fino a tarda età ha continuato con fede incrollabile a portare avanti le tradizioni a Francavilla, vuole che non si interrompa questa consuetudine. Con lui c’è Ettore, con in mano una robusta canna/bastone, che fa da guida al gruppo composto da: Ciccio, Rocco, Natale, Domenico. E poi c’è l’altro Antonio che vive a Firenze e, con continuità e costanza si affianca volentieri al gruppo per recarsi a tributare lodi alla Vergine in memoria dei suoi genitori. Non ci sono quest’anno giovani mamme, né le ragazze che a scuola hanno conseguito la maturità. Eppure negli anni passati si incoraggiavano a vicenda per esserci. L’indisponibilità per i sopraggiunti impegni familiari ha privato il gruppo di una presenza fondamentale soprattutto nel riproporre i canti della tradizione da rivolgere alla Vergine e che, di anno in anno, non trovano più interpreti capaci. Questi peregrinaggi sono atti di fede che si rinnovano con spontaneità e gioia in un’epoca in cui il mondo giovanile, non tutto per fortuna, sembra orientato verso forme di degenerazione e di autoannullamento e il credere, rispetto al passato, è pensiero marginale e secondario se non, rifiuto. Ecco perché trovo nell’atto di questi volenterosi viaggiatori qualcosa di speciale e mi emoziono davanti a tanta manifestazione di buoni propositi e nel voler rinnovare quei gesti antichi che sanno di mito e di profonda cultura popolare che resiste al tempo. Ho vissuto anch’io questi momenti e per due volte consecutive ho intrapreso il viaggio verso Bonserrata. Il racconto di chi aveva vissuto questo pellegrinaggio riusciva sempre ad incantarmi e pur avendolo desiderato per tanto tempo, non sono riuscito a soddisfare questo mio desiderio se non in terza liceo. C’erano difficoltà di trasporto e di collegamento per ritornare a casa, e mia madre, preoccupata, mi rimandava di anno in anno. Fu così che mi inventai una scusa, di fronte alla quale sarebbe stato difficile negarmi il permesso di vivere quell’esperienza che tanti miei coetanei avevano già vissuto. Le dissi di un giuramento, un voto fatto alla Madonna: che se fossi stato promosso sarei andato a trovarla.
Arrivato il momento, le provò tutte per dissuadermi. Ma messa con le spalle al muro, pur preoccupata che non ce la facessi a raggiungere la meta e dopo tante raccomandazioni e premure in assenza di mio padre, emigrato, mi accompagnò lei stessa sul luogo della partenza e mi affidò in custodia ad una sua commare, vicina di casa.
Ero al settimo cielo. Chi faceva parte della comitiva si guardava intorno per scegliere chi avere vicino durante il lungo viaggio. Si, perché si doveva andare a piedi e, per di più, di notte, lungo un tragitto non certo agevole, tra strade tortuose, sentieri poco battuti e faticosi, attraversamento di fiumi e strade rotabili, boschi e paesi dell’entroterra. Non pensavo a nulla io, solo volevo esserci tra quella gente di tutte le età, in maggioranza donne, e mi sentivo felice. Un piccolo zaino sulle spalle con all’interno qualche pezzo di pane e salame, una saponetta con asciugamano ed una camicia come cambio. Mamma Lucia aveva preparato tutto con cura.
In un attimo, con le solite raccomandazioni a marciare vicini e a non allontanarsi dal gruppo, la voce di mastru Foca diventa la più ascoltata, la voce guida. Quella che si stagliava sulle altre, vigorosa e forte, a dare utili indicazioni, consigli. A ragguagliare sui luoghi che si percorrevano, a raccontare aneddoti, barzellette, a cantare, a farci ridere e scherzare con battute divertenti che alleviavano gli sforzi del cammino là dove più disagevole era il passo. Si fermava rispettoso solo quando alcune “remite” intonavano canti alla Madonna o iniziavano a sgranare il rosario in un lento, affannoso susseguirsi di litanie e preghiere cui la maggior parte prendeva parte. Ed era suggestivo nel buio della notte assistere a quel rituale officiato da tanta gente in movimento.
Di quella mia prima volta ricordo inoltre una splendente luna che illuminava, con il suo candido chiarore, il percorso, mentre l’umidità della notte ed il calore generato dalla fatica costringeva molti ad alleggerirsi nei vestiti. Con il mio amico Pino rallentavamo il passo per affiancare qualche ragazza provando a corteggiarla, ben guardinghi a non forzare la mano per la presenza di un genitore o qualche parente stretto ad accompagnarla. Dovevamo passare il tempo, e pure lo spazio che ci separava dalla nostra meta. Eravamo giovani e pieni di spirito addosso. Cercavamo sguardi e sorrisi, e timide parole di intesa.
Il fiume Angitola ed il suo attraversamento costituivano un vero pericolo, soprattutto per la sua portata d’acqua, dopo uno di quei temporali estivi, non rari in quel periodo. Mastru Foca, con calma e deciso, riuscì a radunare tutti per impartire indicazioni utili a portarsi sull’altra riva. Così tolte le scarpe e le calze, con i calzoni tirati in su a guisa di marinai, lo seguimmo nel punto dove l’acqua appariva, con il chiaro di luna, più bassa. Riuscimmo a passare senza difficoltà e, rimesse le scarpe ritrovammo il sentiero giusto per proseguire. Qualcuno tirò fuori un panino con frittata e l’odore si estese al punto che altri non resistettero e cominciarono a rovistare nello zaino. C’era chi addentava qualche biscottino con il seme di finocchio che un tempo era facile trovare nelle dispense di casa. Le ragazze più giovani parevano resistere a quegli odori e sapori nostrani. Qualcuna, più vivace ed intraprendente, stufa di sentire solo canti e preghiere, dimenticando di essere tra pellegrini devoti, intonava, azzardando, canti della tradizione popolare come la Campagnola bella, o l’altra più famosa Calabrisella. E tutti in coro si intonava lo stesso motivo, così da innervosire i cani lungo il tragitto e vicino alle abitazioni dei pastori o dei carbonai, a fare la guardia.
Si continuava a camminare senza sosta nel cuore della notte. Rumori strani si mischiavano al gracidare delle rane, mentre attraversavamo un pezzo di strada asfaltata che, in lontananza, ci lasciava intravedere le luci di alcuni paesi nelle vicinanze cui provavamo a dare una identità. Case cantoniere e ruderi, parapetti di piccoli ponticelli, alberi dal ricco fogliame, erano gli unici elementi che ci vedevano sfilare, silenziosi e con le menti occupate dai tanti pensieri che, al buio, avevano gran più peso. Come non mancavano, in quelle ore di stanchezza, anche motivi di rimpianto per non essere rimasti a casa. Momenti che passavano al primo apparire della luce mattutina che svelava i contorni del paesaggio e ci presentava la suggestiva chiesetta di Mater Domini contornata da ulivi secolari e dominata dall’abitato di San Nicola da Crissa.
Una bevuta ad una fontana posta sulla strada, prima di attraversare il paese che avveniva cantando brani religiosi indirizzati alla Madonna e ben accolti dalle signore del luogo che ci guardavano dalla finestra o dal balcone. Quegli sguardi e anche qualche saluto di buon giorno venivano ricambiati con piacere. Dopo il cimitero, un cartello, posto al margine della strada in salita, stava ad indicare la direzione per Vallelonga. Arrivati sul pianoro, la distesa di faggi che si perdevano alla vista, ricamavano, con il loro colore, le gradevoli alture delle Serre, mentre sul lato destro si apriva incantevole la lunga distesa di valli scoscese, tutte degradanti verso il mare. Uno spettacolo naturale che ripagava ogni sacrificio.
Un sentiero scendeva verso il basso attraverso una strada sterrata, contornata su entrambi i lati da piante di felci, su cui facevano capolino enormi ragni impegnati a organizzare le trappole per moscerini e piccoli insetti. Qualche gazza ladra con i suoi inconfondibili suoni pareva salutarci con versi di benvenuto. In fondo un piccolo ruscello e, sulla salita, il recinto di un campo sportivo. Era il luogo dove lavarci e renderci presentabili davanti alla Madonnina ed agli altri pellegrini che sarebbero giunti da altre vie per radunarci tutti insieme nello spazio antistante il santuario dove, ad attenderci, faceva bella mostra un austero monumento ai Caduti.
L’aria di festa cominciava a cogliersi dall’eco delle voci, dai rumori elevati e dai suoni che si percepivano già da lontano sviluppando una certa ansia di arrivare. In ordine sparso, quella che era la grande compagnia, si sfaldava in piccoli gruppi e sottogruppi formati da parenti ed amici stretti o vicini di casa. Abbandonata la guida sicura di Mastro Foca che, quella spedizione aveva portato felicemente al traguardo, mettevamo piede in paese. Ricordo quella prima visita alla Madonnina nella chiesa. Non ci si poteva sottrarre al suo abbaglio di luce fatto di grazia e bellezza. Su un alto scranno contornata da un addobbo variopinto di fiori sembrava dispensare dolcezza. Spontanea usciva dal cuore una preghiera di ringraziamento e la raccomandazione di proteggere sotto il suo manto famigliari e persone care senza dimenticare quanti vivevano nella sofferenza del corpo. Uno sguardo poi all’interno del Santuario per esaltarne le cromaticità dei marmi e gli stucchi dai colori brillanti e dalle decorazioni d’oro che l’arricchivano fino all’incanto. La giornata di sabato si trascorreva tra le piante secolari della villetta e le numerose bancarelle distribuite lungo le vie vicino al Santuario. Mostaccioli, pacchi di noccioline e ceci per lenire qualche crampo di fame e poi, metri e metri di “Zafariejhi” dai tanti colori, che dovutamente benedetti venivano portate in regalo alle persone che non erano riuscite ad arrivare fin quassù. Era l’aria di festa, tipica nei paesi d’estate.
Trovato un banco in chiesa dove trascorrere la notte, ci si preparava per la grande processione della Madonnina, che, per tradizione, si portava nella villetta adiacente la chiesa. Quell’anno, con Pino, riuscimmo, non so come, a prendere le due stanghe e a portare a spalla la Madonna. Attimi bellissimi. Qui, nel tripudio generale, i tanti fuochi d’artificio, sparati nelle prossimità del bosco, aggiungevano frastuono alla manifestazione, mentre una folla sterminata, nel gran caldo della giornata, dopo l’enorme fatica, già pensava a come rifocillarsi. Era consuetudine per chi arrivava dai paesi, cogliere l’occasione della visita alla Madonna per organizzarsi e passare una giornata con i propri cari negli spazi meravigliosi di Serra San Bruno, proprio dove c’è la tomba del frate certosino. Io e Pino invece pensavamo ad andare al pullman che ci doveva riportare a casa, mentre contenti facevamo un nuovo giuramento: tornare l’anno successivo.
E’ l’augurio di buon cammino a quanti non lasceranno che si cancellino le orme del passato!