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Cloudflare in down per ore: mezzo Internet in tilt. E torna il tema della dipendenza dai grandi colossi del web

Un blackout di Cloudflare verificatosi oggi ha messo in ginocchio una parte significativa del web, causando disservizi diffusi tra le 12 e le 15. Piattaforme di grandi dimensioni, servizi online molto utilizzati e perfino portali di pubblica utilità sono risultati irraggiungibili per ore. Un episodio che riaccende il dibattito sulla fragilità dell’ecosistema digitale contemporaneo e sulla sua eccessiva centralizzazione.

Il principio è semplice: quando un singolo attore cade, a cadere con lui sono migliaia di servizi in tutto il mondo. E l’incidente di oggi ne è la dimostrazione più evidente.

Una dipendenza strutturale che preoccupa gli operatori

Il blackout ha alimentato discussioni tra imprenditori e professionisti del digitale, molti dei quali denunciano da anni un problema ormai evidente: la rete è divenuta troppo dipendente da pochi grandi player. Se uno di loro si inceppa, intere economie digitali si fermano.

C’è chi parla apertamente di rischio sistemico: troppe aziende hanno affidato la propria presenza online a soggetti terzi, rinunciando a infrastrutture autonome e realmente controllabili.

La visione alternativa: costruire infrastrutture proprie

Tra le voci critiche c’è quella degli imprenditori che da tempo promuovono modelli più indipendenti. L’idea centrale è che affidare la propria operatività a un gigante del web equivalga a costruire “nel cortile di qualcun altro”, con il rischio che, a fronte di un problema o di una scelta unilaterale, l’accesso ai servizi possa venire meno da un momento all’altro.

«La nostra presenza online non può essere un favore concesso da qualcuno più grande di noi» affermano alcune realtà innovative che puntano a infrastrutture proprietarie e non delegabili. La logica è chiara: ridurre la vulnerabilità, aumentare l’autonomia, evitare di restare offline perché “qualcuno” ha un malfunzionamento.

La domanda finale resta aperta

Il caso di oggi riporta tutti alla stessa riflessione:
meglio vivere nella “casa” digitale di un colosso, con i vantaggi ma anche i rischi che comporta, oppure costruire la propria struttura e avere davvero “le chiavi in tasca”?

Un interrogativo sempre più attuale, soprattutto in un’epoca in cui un singolo disservizio può mettere in pausa una parte significativa della vita digitale globale.

Gianluca Iannottta

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