Ecco la Lettera ricevuta da Vincenzo Varone.
Partecipo ben volentieri al dibattito sullo spopolamento dei nostri paesi avviato dall’amico antropologo e giornalista Pino Cinquegrana con un estratto della mia pubblicazione “La Perenne attesa”- Libritalia edizioni.
LA PERENNE ATTESA, I PAESI CHE SI SPOPOLANO E LA FUGA DEI GIOVANI
di Vincenzo Varone
L’Italia di oggi – dove quotidianamente si mercanteggia sul suo futuro e sul suo destini, per quei cittadini normali, ovvero la stragrande maggioranza, che vivono di stipendio e spesso di lavori saltuari mal pagati, è un paese in costante affanno, dove i precari del mondo del lavoro, sfruttati e considerati quasi un vuoto a perdere, da anni non hanno mai trovato asilo e dove i poveri hanno, ormai, superato il limite di guardia: Da Busto Arsizio, passando per Roma capitale e fino ad arrivare ai centri del Sud della mille attese dove, ormai, più di un nucleo familiare è costretto a rivolgersi alla Caritas, alle parrocchie che fanno quello che possono e alle varie organizzazioni di volontariato. Diciamolo a gran voce: Non è questa l’Italia che ci avevano promesso. Non è questa la nazione che avevamo sognato e immaginato nel nostro girovagare giovanile, armati di penna, taccuino e comode scarpe per affrontare le salite e il vento lieve e traditore dell’arbitrio. Ed accompagnati, nel nostro cammino, dalla passione per la scrittura e per la politica che non sono mai venute meno neppure nell’ora della tempesta e del furore. Ma non divaghiamo e torniamo al nostro dire. Un paese l’Italia, costantemente in pompa magna, in cui si parla, con insistenza, di sacralità, di doveri e di valori, puntualmente messi all’angolo proprio da chi ne invoca dai pulpiti il rispetto. Una Italia irriconoscibile dove lo Stato sociale, pazientemente costruito, è stato abbattuto, prima a colpi di “lezioni” al popolo – attraverso i talk show della sera e della notte casta e insonne dove di solito le castronerie vengono puntualmente spacciate per argomenti seri – ed a seguire a colpi di machete con pochi che hanno avuto il coraggio di opporsi e dove le disparità sociali oggi più che mai si toccano con mano. Una nazione, dove nelle piccole realtà, gli ultimi presidi – con la scusa del risparmio e quindi della necessità di tagliare per “il bene di tutti” – sono stati letteralmente cancellati con un colpo di spugna rapace: uffici, scuole, luoghi di vita e di ritrovo. La conseguenza è che giocoforza interi piccoli centri sono stati costretti – complice anche il silenzio di chi alla fine non ha avuto la forza, la voglia o il coraggio di non cedere alla tentazione di chiudere gli occhi – alla resa, all’oblio incondizionato e abbandonati al loro destino in quanto rami secchi e fogli ingialliti, pregevoli per la memoria degli studiosi, ma inutili per il paese Italia dell’efficienza, della produzione e della connessione veloce che corre allegra e gaudente ignorando l’esistenza del dolore, della precarietà della vita e della morte. Si è dato spazio, complice un elettorato stanco dei rituali di una certa politica, ai “vitelloni” dalla lingua sciolta e sciocca, con i loro piccoli eserciti senza ideali, che hanno solo favorito con le loro azioni tutte una serie di scelte sbagliate, interessate e dannose, perché ad essere sistematicamente colpiti sono stati i ceti più deboli. Gli ultimi insomma, i primi a pagare “le moderne ed efficienti visioni” del nuovo potere. Un nuovo ordine, convinto di saper vedere oltre il cielo e le nuvole e succube della sua arroganza e della sua bramosia di onori e prebende da incassare e custodire. Risultato: ridotti a brandelli e con un Meridione d’Italia, nonostante i proclami, costantemente in coda e con i giovani e non solo loro costretti a partire per costruirsi altrove un futuro dignitoso.
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