Secondo il critico musicale Francesco Cataldo Verrina, qualcuno ha parlato di maxi-concerto, ma si è trattato di un’esecuzione sommaria della buona musica in una pubblica piazza. “Ho provato un certo fastidio guardando quello scempio in TV”, afferma.
Ogni volta che si fa un tributo a Pino Daniele, si ripete sempre lo stesso copione: buona parte degli interpreti italiani non hanno capito come si cantano le canzoni di Pino, che sono basate comunque su un canto ritmico con ascendenze afro-americane: blues, jazz, soul, R&B.
Il melodismo italico, per non parlare dell’autotune, di certo non si attaglia alla musica di Pino Daniele, la cui unica colpa è quella di avere una popolarità straripante, in un’epoca in cui tutti pensano di poter cantare — perché è facile, grazie alla tecnologia — pur non essendo in grado di farlo.
“Il guaio è che oggi certi media non riescono a fare controcultura o controinformazione, per cui Pino Daniele, Gigi D’Alessio o Geolier sono la stessa cosa, solo perché apparentemente fanno lo stesso mestiere e sono napoletani”, aggiunge Verrina.
Prova le stesse sensazioni anche quando sente cantare Lucio Battisti da terze parti.
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