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Il blocco del gambero rosso: l’Europa ferma i pescherecci italiani, ma il Mediterraneo resta un mare “a due velocità”

La pesca del gambero rosso di profondità, eccellenza italiana e simbolo della gastronomia ligure e siciliana, è finita ancora una volta nel mirino di Bruxelles. Con l’ennesima stretta sulle quote di cattura e sulle giornate di mare, l’Unione Europea rischia di mettere in ginocchio intere marinerie italiane, imponendo vincoli sempre più pesanti mentre nel resto del Mediterraneo molti Paesi continuano a pescare liberamente, appellandosi al diritto internazionale e alle tradizionali “leggi del mare”.

Con l’ultimo regolamento, la Commissione e il Consiglio UE hanno deciso:

Riduzione del 3% dei limiti di cattura di gambero rosso rispetto al 2023;

Taglio del 9,5% delle giornate di pesca a strascico, con la possibilità di recuperare solo una parte dei giorni se gli Stati introducono ulteriori restrizioni;

Riduzione delle quote nel Tirreno, in Sardegna e in Corsica, colpendo direttamente flotte che vivono quasi esclusivamente di questa specie.

Un quadro che, secondo Bruxelles, dovrebbe favorire la sostenibilità ambientale. Ma per chi va in mare, significa spesso la differenza tra poter lavorare e dover lasciare la barca ferma in porto.

L’Italia paga più degli altri

Il paradosso è che mentre i pescherecci italiani devono adeguarsi a norme ferree, altri Paesi mediterranei non appartenenti all’UE – come Tunisia, Algeria, Egitto o Turchia – continuano a sfruttare il mare con meno vincoli. Questi Stati si rifanno al diritto internazionale, che riconosce libertà di pesca nelle acque internazionali, senza sottostare al “freno a mano” imposto da Bruxelles.

 

Risultato: gli italiani riducono sforzo e catture, perdendo redditività, mentre altri operatori continuano a gettare le reti negli stessi fondali. Una concorrenza impari, che penalizza chi rispetta le regole europee e favorisce chi si muove al di fuori di esse.

Le comunità costiere in difficoltà

Per marinerie storiche come quelle di Mazara del Vallo, Porto Santo Stefano o Santa Margherita Ligure, il gambero rosso non è soltanto un prodotto da mercato: è la spina dorsale di un’economia costiera già fragile. Con meno giornate in mare e quote ridotte, i margini si assottigliano e molte imprese rischiano di non reggere l’urto.

Gli operatori parlano di “accanimento burocratico”: mentre loro investono in selettività delle reti e pratiche più sostenibili, Bruxelles continua a tagliare. Una politica che sembra guardare più alle statistiche che alla realtà dei porti italiani.

Un mare senza regole comuni

Il vero problema è che il Mediterraneo resta un mare condiviso, ma non con regole condivise. L’UE impone limiti sempre più stringenti ai suoi membri, ma non ha la forza di estendere quelle stesse misure agli altri Paesi rivieraschi. Così si crea un Mediterraneo “a due velocità”: da un lato chi rispetta i regolamenti europei e riduce la pesca, dall’altro chi continua a operare secondo le vecchie logiche di sfruttamento.

 

In questo scenario, l’Italia finisce per essere la parte più penalizzata, pagando un prezzo altissimo per la “virtù europea”, mentre altri continuano a pescare indisturbati.

Conclusione: sostenibilità sì, ma non a senso unico

Proteggere il mare e le sue risorse è un obiettivo giusto e condivisibile. Ma se la sostenibilità diventa un cappio che si stringe solo sul collo dei pescatori italiani, il rischio è quello di distruggere un comparto strategico, senza nemmeno salvare davvero il Mediterraneo.

Perché la verità è che il gambero rosso non scompare se cala la flotta ligure o siciliana: scompare se non c’è una politica comune per tutti i Paesi che si affacciano su questo mare. E finché Bruxelles non sarà capace di imporre le stesse regole a tutti, i sacrifici italiani resteranno un vantaggio per gli altri.

Adriana Cavasino

Adriana Cavasino

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