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Il Drago d’estate: Francavilla Angitola ad agosto… e non solo

D’agosto, il mio paese, è il desiderio che ti si accende con la forza prorompente di una tempesta che muove i pensieri e l’anima. Rimane acceso come una lampadina. E quando provi ad organizzarti per raggiungerlo senti che il cervello comincia a fumarti in preda all’ansia anche senza un motivo apparente. Sei già in viaggio quando cominci a preparare le valigie e ti assale il pensiero per quello che puoi dimenticare. Quando sei alla guida, concentrato sul percorso, la tua mente è preda dei pensieri che si aggrovigliano e ti fanno compagnia per tutto il tragitto. Non senti le voci di chi ti sta accanto. Guidi e basta pensando solo alla meta da raggiungere mentre ripassi i volti dei familiari che ti accoglieranno, gli amici con cui programmare le uscite serali, o le cose che dovrai fare all’arrivo per vivere pienamente, senza problemi, il tanto sospirato soggiorno.

Cominci ad avvertire la vicinanza e respirarne l’aria già dal cartello in autostrada che indica il limite territoriale con la Basilicata. Il nome Calabria lo penetri con lo sguardo , lo fissi incredulo perché ti senti a casa. Provi come la sensazione di essere atteso ed accolto dalle braccia di una madre. D’agosto, il mio paese, è una voglia incontenibile. E quando finalmente, superata la curva del Drago, cominci a vedere le prime case, ti esplode dentro come quel raggio di sole che vedi apparire di primo mattino nel suo immenso chiarore.

Lo attraversi colmo di felicità con la lentezza del ciclista che, arrivando solitario al traguardo, prova a gustarsi la vittoria dopo i tanti chilometri di percorso e le asprezze superate. Deve valere veramente la pena se ogni anno, si ritorna con la stessa voglia e la gioia che senti esplodere ad ogni sguardo che posi sui cari luoghi, i tuoi luoghi, che hai imparato ad amare ancor più da quando li hai lasciati. Si, perché d’agosto, il mio paese è rifugio. E’ parte di te, l’altra metà cui ricongiungersi. E’ pensiero, spirito, sguardo che vigila e non ti abbandona, anima che vive e ti alimenta. Suggestione da cogliere. E’ bellezza, dolcezza, poesia … incanto!

D’agosto, il mio paese, si popola della sua gente che ritorna, ed è un quotidiano tripudio di festa. La vedi arrivare e senti che tutt’intorno sorride. Si spalancano le perenni porte chiuse per fare entrare, con l’aria, la luminosa luce di agosto che ne ricama gli ambienti e si porta via il tanfo dell’umidità e dell’abbandono. Ogni vicino aspetta l’altro per riprendere le antiche cordialità. L’impressione è di non essersi mai allontanati. C’è una sorta di chiama da una lunga lista che, ahimè, anno dopo anno si assottiglia e allunga i silenzi. Sembra mostrarsi con un volto nuovo, d’agosto, il mio paese. Perché le presenze e i rumori vincono i silenzi e la solitudine dei sempre uguali, tristi e malinconici periodi freddi.

E sono voci e suoni, profumi che ravvivano le vie. Sono odori di melanzane e patate fritte, di peperoni saltati nell’olio di questa terra, di polpa dolce del pomodoro nostrano e di cipolla rossa di Tropea.

D’agosto, il mio paese, ha il colore del mare turchese che laggiù verso l’Angitola si mostra, cinto dal braccio di terra che, dall’antica Rocca, allungandosi lungo il costone napitino, arriva fino al vibonese porto marino che riflette l’azzurro del cielo e i cirri biancastri di nubi che l’incoronano, offrendo immagini di cangianti paesaggi davvero spettacolari ed unici. E’ il sole del tramonto che non ti stanchi mai di guardare mentre indora con la sua luce magica la vallata e fa brillare i vetri delle finestre che assomigliano a dardi infuocati. E’ lo sguardo di meraviglia che provi ogni sera nel guardare così tanta bellezza del Creato. E’ l’emozione che ti prende e non ti abbandona mai.

D’agosto, il mio paese, è la voce dei ragazzi e delle ragazze che urlano la loro gioia innocente lungo il Corso, incuranti dell’ora tarda; quel voler vivere con leggerezza le prime uscite di libertà e la condivisione di esperienze nel gruppo, quell’assaporare sensazioni e turbamenti sconosciuti, quelli dei primi baci e degli impazzimenti del cuore. Sentire rafforzarsi, nella frequentazione ad ogni ritorno, un legame che durerà per sempre.

D’agosto, il mio paese, è il colore dei tetti bruciati dal sole. E’ l’odore della pioggia sull’asfalto asciutto e bollente dei pomeriggi; il risveglio delle lumache che sulle foglie bagnate disegnano, con la bava schiumosa, le lunghe scie luminose.

D’agosto, il mio paese, è il colore dei gerani che si affacciano dai balconi come a guardarti passare. E’ il volto di qualche vecchietta che curiosa, riconoscendoti, ti chiede come stai e quando sei arrivato. Sono le voci che si rincorrono e ti seguono da una porta all’altra, come un’eco. E non puoi non rispondere per soddisfarle in quel dialetto di un tempo che ti suona dentro con la sua inconfondibile, naturale forza espressiva che ti ricorda appartenenza.

E’ il silenzio delle sue antiche mura laggiù a Pendino; delle voci mancanti lungo il fiume della Frischìa; l’eco delle tante cadenze e lingue diverse che si incontrano nei quotidiani saluti; il calore di mani che si intrecciano in affettuosi gesti.

D’agosto, il mio paese, è il suono della campana grande che si perde nella vallata dei Luchi; è il volo dei grossi rondoni che sfidano il vento e si lanciano in spericolate manovre nell’inseguire insetti. E’ la brezza di mare che arriva dopo una imprevedibile tempesta a mitigare la calura di una estate bollente; è il profumo dei fiori che Gregorio, mio fratello, cura con amore nell’incantevole spazio attorno al Castello.

E’ la festa di San Foca che ognuno, vicino o lontano, aspetta di vivere per legarsi al passato e affidarsi al futuro con speranza e fiducia nel divino intervento, con la devozione e la Fede dei Padri che è cucita addosso e che nell’approccio al Santo simulacro, con spontaneità, rinnovano seguendo una gestualità ed un rituale senza tempo.

D’agosto, il mio paese, è la fila di donne che portano in chiesa vassoi e cesti ricolmi di quei dolci con lo zucchero a forma di serpente, i “tarajhi”, preparati per antica devozione in onore di San Foca. E’ la banda che ti sveglia la domenica mattina; quell’andirivieni della gente che curiosando tra le bancarelle si lascia andare al rito del saluto ed intralcia il passo di chi vorrebbe giungere puntuale alla Messa. E’ l’immagine dell’arte dei mostacciolari di Soriano con le loro cassepanche piene degli squisiti mostaccioli raffiguranti Santi e animali e con i tanti oggetti di terracotta e vimini da usare come souvenir.

E’ la processione che tutti aspettano di seguire, l’uscita ed il rientro della sacra effigie, dei furguli della ritirata che sembrano venirti addosso. E’ il bollito della tradizione con le polpette di vitella. E’ il ricordo di chi non c’è più e della visita, il sabato, al Cimitero. E’ il sapore del cocomero rosso , della grande varietà di fichi e del dorato zibibbo che solo da noi si produce e della granita di limone che ormai nessuno più riesce a fare come un tempo. È la scia di una stella cadente cui si affidano desideri e speranze; il chiarore di un falò nella sabbia di Colamaio; un accordo di chitarra, le giovanili voci corali a cantare Battisti.

D’agosto, il mio paese, quando stai bene e non ti manca niente è un vero paradiso. E’ il luogo dove ogni francavillese vorrebbe trovarsi. Quello dei ricordi che le donne si raccontano e si svelano, sedute su sedie di paglia davanti l’uscio di casa. Il luogo, dove la fine della festa mette una malinconia ed una tristezza indicibili per la fugacità del tempo. Un tempo che non si può fermare, così da ritrovarti a pensare ad un altro anno volato via e già immagini quello prossimo che ti auguri arrivi presto per essere ancora presente.

D’agosto, il mio paese, a guardarlo bene mostra anche delle stranezze. Perché c’è chi ama stare in disparte e non conosce l’arte del fare. Chi vuole un cantante e chi ne preferisce un altro; chi straordinari fuochi d’artificio ma non versa nulla per la festa; chi pretende gli archi vicino la propria abitazione e chi si raccomanda per non avere gli ambulanti sotto il balcone. Eppure è un luogo con gente generosa, che ha attenzione per chi vive il disagio; che accoglie i forestieri e, nel solco del santo Protettore, trova piacere ad offrire loro un piatto caldo e dell’acqua fresca.

D’agosto, il mio paese, è cuore. Quello di chi sta lontano, di chi arriva, di chi resta, di chi deve partire. E’ il pensiero di chi lo vorrebbe ritrovare ogni anno più bello ed accogliente e di chi, invece, rimane deluso. Di chi opera e viene criticato, e di chi non fa niente e pensa solo a demolire. D’agosto, il mio paese convive con le tante contraddizioni e lotte.

D’agosto, il mio paese, sa di saluti e distacchi, di strette al cuore e di pianti, di parole mai dette e carezze mai date. Sa di paure e incertezze, di preoccupazioni e di sguardi premurosi, … di benedizioni. Quelle di madri in preghiera, ad accompagnare, dolorose, ogni ripartenza.

D’agosto, il mio paese, è quanto non ho scritto. Quello che non sono riuscito a scrivere. Ciò che, mi auguro, si scriverà dopo di me.

Franco Torchia

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