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“That’s Amore”: l’America parla calabrese. Ma la Calabria rischia di restare senza voce

In autunno un convegno a Francavilla Angitola per riflettere sullo spopolamento della regione. «Un patrimonio umano e culturale che si sta dissolvendo nel silenzio generale»

That’s Amore, cantava Dean Martin nel suo celebre omaggio all’italianità. Ma oggi più che mai quella canzone potrebbe raccontare una realtà ben più profonda: l’America, da nord a sud, parla italiano. E soprattutto… calabrese. Sono circa sei milioni i calabresi di prima, seconda e terza generazione sparsi tra Stati Uniti, Canada, Argentina, Brasile, Venezuela, fino all’Australia. Una parte consistente dei 24 milioni di oriundi italiani che nel Nuovo Mondo hanno costruito famiglie, imprese, futuro.

Una diaspora che ha portato lontano dialetti, tradizioni, sapori, nomi e cognomi, ma che oggi solleva interrogativi cruciali: che ne sarà della Calabria, se a partire saranno anche le radici?

Se ne parlerà in autunno a Francavilla Angitola (provincia di Vibo Valentia), dove il sindaco avv. Giuseppe Pizzonia promuoverà un convegno sullo spopolamento calabrese, con data in via di definizione per il mese di ottobre. Tra i relatori sarò presente in qualità di antropologo che da anni studia i fenomeni migratori e l’impoverimento sociale delle aree interne: «Stiamo perdendo un patrimonio culturale irripetibile. Dialetti, riti religiosi, saperi artigiani e mestieri antichi rischiano di sparire con chi va via, senza lasciare eredi. E tutto questo avviene in un clima di indifferenza quasi assoluta».

Le proiezioni demografiche parlano chiaro: se il trend non si invertirà, la popolazione calabrese potrebbe ridursi a 1 milione e 400mila abitanti nei prossimi decenni, con conseguenze devastanti su tenuta sociale, economica e culturale del territorio.

I problemi sono sotto gli occhi di tutti: assenza di lavoro stabile, viabilità degradata, collegamenti pubblici pressoché inesistenti, una sanità al collasso dove «persino i medici cubani fuggono via». Senza un’auto, molte zone dell’entroterra calabrese sono letteralmente tagliate fuori dal mondo.

Lo cantava amaramente anche Otello Profazio: “Ca si campa d’aria!”. Un grido che oggi torna di stretta attualità.

L’obiettivo del convegno non sarà solo quello di denunciare, ma anche di proporre strategie e soluzioni per invertire la tendenza. Serve un nuovo patto tra istituzioni, giovani, scuola, cultura e imprese. Serve soprattutto una narrazione diversa della Calabria, che non sia fatta solo di emergenze, ma anche di possibilità.

E chissà che da Francavilla Angitola non parta proprio una chiamata simbolica alle “Calabrie del mondo”, a quei sei milioni di calabresi oltre oceano che ancora conservano nel cuore il profumo della terra lasciata. Perché se è vero che “l’America parla calabrese”, forse è arrivato il momento che la Calabria impari ad ascoltare di nuovo se stessa.

Pino Cinquegrana

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