Nel singolo ‘Di Cose Belle’, Jonio si avventura nel mondo delle emozioni umane con una sensibilità acuta. Il brano non è solo una canzone, ma un’esplorazione dei sentimenti di vulnerabilità, coraggio e gratitudine.
Jonio utilizza metafore evocative e immagini poetiche per dipingere un quadro delle sfide personali e delle gioie semplici. ‘Di Cose Belle’ invita l’ascoltatore a riflettere sul proprio percorso di crescita e sull’importanza di apprezzare le piccole cose che rendono la vita significativa. La musica di Jonio crea uno spazio emotivo dove le esperienze umane si intrecciano con la bellezza della quotidianità.
Con ‘Di Cose Belle’, Jonio non solo intrattiene, ma anche ispira. Il singolo è un inno alla resilienza e all’ottimismo, un promemoria di come anche nelle sfide più difficili, ci sia spazio per la bellezza e la speranza.
Come nasce una tua canzone, di solito? Parti da un’emozione, da una melodia, da un’immagine?
Spesso tutto comincia da un’emozione precisa che ha bisogno di uscire. A volte è una frase che mi ha colpito, altre una melodia che nasce al piano quasi per caso. Poi la canzone si costruisce da sé, come se avesse già una sua struttura e io dovessi solo ascoltarla. Difatti è proprio questo quello che faccio, ascolto quello che penso e che sento e lo lascio fluire spontaneamente in musica. Quindi direi che non ci sono regole precise nel momento in cui mi metto a scrivere.
“Di Cose Belle” è stata scritta tutta d’un fiato o ha avuto una lunga gestazione?
È nata molto spontaneamente, in un momento in cui forse io stesso in primis avevo bisogno della leggerezza che trasmette. Ricordo di essermi seduto al pianoforte cantando lentamente “Mi voglio rassegnare e vivere di cose belle” esattamente con gli stessi accordi che poi ho usato nel brano. Dopodiché il motivetto del tema strumentale ha iniziato a risuonare nella mia testa e l’ho riprodotto subito suonando. Le altre parole del testo sono venute fuori da sole con molta semplicità. È stato un brano su cui non ho apportato tante modifiche nei giorni successivi e credo non ne abbia avuto bisogno.
Ti capita mai di censurarti quando scrivi?
A volte sì, soprattutto quando tocco corde molto intime. Ma sto imparando a spingermi oltre la paura di andare a fondo alle mie emozioni. Se una cosa fa paura, di solito, è perché è vera. E se è vera, va detta. Sto imparando a non cancellare quello che scrivo, ma lasciarlo lì sulla carta, per poi rielaborarlo o magari riutilizzarlo per un’altra canzone.
Hai qualcuno con cui confronti i tuoi testi prima di pubblicarli?
Sì, e credo che dal confronto con altre persone che scrivono e sanno come farlo nel modo giusto si possa imparare tanto. Una persona in particolare mi ha insegnato a lasciarmi andare e a buttare giù ogni cosa che percepisco quotidianamente, usando poi le tecniche giuste per veicolare i miei pensieri attraverso la musica.
Come capisci quando un brano è davvero finito?
Da un punto di vista del contenuto mi rendo subito conto se ho bisogno di raccontare ancora altro all’interno di un brano. Se so di aver detto tutto quello che c’era da dire non aggiungo altro, e il brano può durare due minuti come quattro minuti, dipende tutto dalle sue esigenze. Per quanto riguarda la rielaborazione, invece, devo ammettere di essere molto perfezionista, nel senso che, finché non mi convince al 100% un accordo o il modo in cui finisce una frase, ci ritorno più volte. Mi è capitato di lasciare una bozza in sospeso per mesi e averla completata solo quando mi sentivo veramente pronto di continuarla. Capisco che un brano è davvero finito quando mi rendo conto di volerlo riascoltare volentieri.
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