L’Europa, terra di diritti condivisi e comunità sovranazionale, si presenta spesso come un mosaico di legislazioni contrastanti. Pochi esempi incarnano meglio questo paradosso del confronto tra Belgio e Italia sulla regolamentazione della prostituzione. Da un lato, il Belgio, sede della Comunità Europea, si pone come avanguardia mondiale, riconoscendo il sex work come lavoro con diritti e tutele equiparabili a qualsiasi altra professione. Dall’altro, l’Italia, patria di una tradizione normativa ancorata alla Legge Merlin del 1958, avanza proposte punitive che sembrano irrigidire ulteriormente un quadro legislativo già di per sé ambiguo.
Dal 1° dicembre 2024 il Belgio ha approvato una legge che conferisce alle lavoratrici del sesso contratti regolari, accesso alla maternità, alla pensione e ai giorni di malattia. Questo passo, celebrato dall’Unione belga delle lavoratrici del sesso come una vittoria storica, si inserisce in una visione del sex work come una attività lavorativa meritevole di riconoscimento e protezione. Con l’obbligo per i datori di lavoro di garantire ambienti sicuri e fornire dotazioni igieniche, la legge belga mira a combattere sfruttamento e abusi, offrendo allo stesso tempo alle lavoratrici il diritto di rifiutare atti specifici o partner senza il rischio di licenziamento.
Tuttavia, non mancano le critiche: alcune organizzazioni femministe ritengono che questa normativa legittimi implicitamente una forma di violenza sessista, accettando la prostituzione come inevitabile invece di combatterla alla radice. La tensione tra protezione dei diritti e rischio di normalizzazione dello sfruttamento rende il Belgio un laboratorio legislativo complesso e controverso.
In Italia, la proposta più recente della senatrice Alessandra Maiorino del Movimento Cinquestelle si muove in direzione opposta. Ispirandosi al modello nordico, punta a criminalizzare i clienti, introducendo sanzioni e pene detentive. Secondo la Maiorino, questo approccio colpisce la “domanda” come motore del fenomeno, proteggendo al contempo le lavoratrici, considerate vittime. Tuttavia, le associazioni di sex workers e alcuni ricercatori, come pure alcune piattaforme di annunci di escort, evidenziano come la criminalizzazione dei clienti peggiori le condizioni di sicurezza delle lavoratrici, costringendole a operare in clandestinità e aumentando il rischio di abusi.
Questa proposta si scontra con una realtà italiana in cui il lavoro sessuale non è riconosciuto né come reato né come professione, rimanendo in una zona grigia. La stigmatizzazione culturale e la frammentazione delle posizioni politiche sul tema rendono ogni passo avanti difficile. Inoltre, fenomeni moderni come la prostituzione online su piattaforme come OnlyFans introducono ulteriori complessità, con un mix di autonomia apparente e sfruttamento mascherato che sfugge a qualsiasi definizione normativa chiara.
Il contrasto tra Belgio e Italia solleva una domanda cruciale: siamo davvero una Europa unita o stiamo vivendo in continenti normativi opposti? Da un lato, il Belgio abbraccia un approccio pragmatico, riconoscendo la realtà della prostituzione e regolamentandola per tutelare i diritti e ridurre i rischi. Dall’altro, l’Italia avanza verso un irrigidimento che sembra ignorare le evoluzioni del fenomeno, rimanendo ancorata a visioni moralistiche e punitive.
Questo paradosso non riguarda solo la prostituzione, ma riflette una frattura più ampia nei valori e nelle priorità che ciascun Paese sceglie di perseguire. Da un lato, una concezione della libertà individuale che cerca di armonizzarsi con la protezione dei diritti; dall’altro, un approccio che, pur dichiarandosi in difesa della dignità, rischia di perpetuare condizioni di sfruttamento e clandestinità.
L’Europa ha il compito di affrontare questa dicotomia, cercando un terreno comune che non appiattisca le diversità culturali, ma promuova un approccio equilibrato e umano. Il Belgio, con la sua legislazione innovativa, pone una domanda scomoda all’Italia: è possibile proteggere senza punire? Allo stesso tempo, l’Italia richiama alla necessità di non romanticizzare un fenomeno che spesso nasconde storie di coercizione e sfruttamento.
Una Europa davvero unita dovrebbe ambire a una sintesi tra questi due approcci, ponendo al centro la dignità e la sicurezza delle persone, indipendentemente dal lavoro che scelgono di fare o dalle condizioni in cui si trovano a viverlo. Fino ad allora, l’immagine di una Europa coesa rimarrà un ideale lontano, diviso tra regolamentazione avanzata e moralismi punitivi.
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